No, non me lo ricordo.

Cosa avrò fatto in quei momenti di cui Facebook/Accadde Oggi non mi ricorda nulla?

7 anni fa, in questo periodo, ero in Abruzzo nei Campi di soccorso post terremoto, mi ero aggregata come volontaria all’Associazione Amici dei Vigili del Fuoco di Lumezzane.
6 anni fa, partecipavo al primo Startup Weekend Italiano da H-Farm. Il team in cui ero è arrivato terzo, il progetto non è mai nato.
5 anni fa, stavo lavorando in ufficio, condividevo immaginette yummy con Milo e Valentina dal portale food gestito dall’agenzia.
4 anni fa, studiavo per la seconda laurea come educatrice (conclusa 2 anni dopo), ero tutta immersa nell’analisi della psiche e dei comportamenti umani.
3 anni fa, boh, non ho scritto nulla e non mi ricordo più.
2 anni fa ero all’arrivo della Mille Miglia a fare foto alle auto d’epoca.
1 anno fa ero appena tornata da Parigi, sicuramente avevo sonno per aver dormito poco e pensavo alla deliziosa casetta nel Marais.
Oggi, aspetto che un’équipe di medici con specializzazione in oncologia alzi il telefono e dia un responso che ha un certo peso.

Insomma, mi dimentico troppe cose e un sacco di amici mi dicono “ma non ti ricordi quella volta epica che…” e io no, non me lo ricordo. Forse dovrei ricominciare a scrivere un diario o è normale che i ricordi di vita sfuggano tra le dita così?

Non sono una dal facile innamoramento

😍😍😍

Emoticon a profusione, di solito questa.

“Dimmi che sei eccitata”

“Sei arrivata? 😍”

No, non sono eccitata, devo andare a comprare la carta igienica.

Ho solo vestiti pesanti e qui fa un caldo boia.

Sono arrivata a New York, sì. Tutto bene, a parte il rinco***imento da jet lag, che è parecchio. Alle 4 mi sembra insopportabile stare a letto perché io in Italia dopo le 9 ho una molla sotto il sedere e devo alzarmi. E alle 6 di sera mi pare mezzanotte (e infatti in Italia è mezzanotte).

Il primo giorno sono scesa con la mia to-do list ben chiara in mente: vado in banca, vado a fare la SIM, poi vado a fare la tessera della metro, poi vado a vedere uno spazio di co-working. E vado a comprare qualcosa da mangiare.

Sono scesa sotto casa e ho dato un’occhiata su Google maps, per fortuna era tutto vicinissimo. Ho sbrigato le mie faccende in pochi minuti.

Non sono molto enfatica nel raccontarlo, vero?

Perché non sento enfasi per niente.

Sarà il jet lag, ma mi sembra di essere in un posto “quotidiano”. Non quella cosa che ti sembra di essere in un film, wow-che-figata, il-sogno-di-una-vita. No. C’ho cose da fare, fammi sbrigare le mie cose, vado qui, vado lì, faccio cose e vedo gente.

Insomma non sono una dal facile innamoramento, sarai pure NYC, ma prima di farmi sentire le farfalle nello stomaco, dovrai darti da fare, bella.

Dal cancro al decluttering: pensieri sulle risorse emotive e sul tempo da non perdere

Questa storia comincia più o meno così: erano le 4.55 di mattina, interno di una casa ancora buia, un letto disfatto, il display di uno smartphone acceso e il mio dito che scorre tra i vari titoli dell’OPAC, la Rete Bibliotecaria Bresciana e Cremonese con la chiave di ricerca “cancro”.

Da oggi al tre luglio dovrei riuscire a condensare la mia fiducia nella scienza e la mia fede non sempre pervenuta in un flusso costante e inarrestabile di speranza. Mi chiedo cosa possa fare per dare più valore a questo periodo, qualsiasi cosa accada in futuro, per dargli il massimo del significato: essenza di vita, non vita allungata con perdite di tempo e orgoglio e pigrizia, ma essenza di vita, la linfa più pura e preziosa che rimane se togliamo le impurità. Impurità, anche dette cazzate.

Finora mi sembrava di essere stata abbastanza brava, ma oggi mica tanto. La mia razionalità mi fa apparire controllata ed equilibrata, dico: “non possiamo sapere dove starai tu, proprio tu, con la tua storia unica, quale puntino percentuale sarai nella torta delle statistiche legate a questa malattia”. E ci credo davvero. Ognuno è talmente unico che non si sa mai, fino alla fine, come risponderà il fisico alla terapia e quali altre variabili non troppo conosciute potrebbero intervenire. “Non possiamo intervenire sullo stato iniziale; certo, nessuno vorrebbe ammalarsi, però l’importante è fare quello che è in nostro potere fare e tu lo stai già facendo. Il tuo unico compito è cercare di stare bene mentre la terapia lavora. Poi vedremo.”

Mia mamma è quella che è andata da sola in pronto soccorso e mi ha chiamato dopo quattro ore, quando le hanno detto che l’avrebbero ricoverata per il sospetto di carcinosi. Ed è la stessa che, nell’unico pomeriggio della settimana scorsa in cui non c’ero perché appena partita per Parigi, è andata da sola a comprarsi la parrucca e da sola è andata all’ospedale per farsi dire i risultati dell’esame istologico: tumore in stadio avanzato, del tipo con maggiore malignità, inoperabile perché ha attaccato vasi sanguigni vitali. E io che da Parigi mi domandavo come mai fosse così laconica nelle sue risposte su whatsapp. “Tutto ok”, mi rispondeva.

Ora, non è che cambi molto tra oggi e la settimana scorsa. Sapevo già che avesse un tumore e che fosse costretta a curarsi altrimenti non supererà l’anno. Così le han detto. Però l’insieme delle parole del referto unite al fatto che sia andata da sola, sommate a mio padre che se è a casa continua a urlare e che altrimenti la lascia sola, rendono il tutto più difficile da metabolizzare. Adesso vado a controllare il calendario, non sia mai che c’ho pure la sfiga di essere in fase pre, eh!

Dicevo, per la parte razionale siamo a posto. C’è, bella presente, roccia per gli emotivi nelle situazioni critiche. Calma e sangue freddo in tempi di crisi: sono io, parlano di me.

Poi c’è la fede. Un tempo non troppo lontano, ero davvero fervente. Con “davvero” intendo in modo talmente acceso che tutti i miei amici che si ritenevano credenti da sempre, mi guardavano con curiosità, alcuni invidia. Credevo in Dio in modo talmente spregiudicato che la mia fede era cresciuta nelle provocazioni che avanzavo in ogni situazione, nelle domande prive di filtro tipiche dei bambini che scoprono il mondo solo in quel momento. Parlo al passato perché ora non sono più così accesa, non sono più una fiaccola per chi mi sta accanto da quel punto di vista e arranco nella fedeltà in una relazione che a volte non capisco. In ogni caso, ci sto dentro. Credo, in un modo pacato che a volte sembra semplicemente spento; un rivolo tenace in fondo in fondo scorre dentro l’anima e mi lavora da dentro, scavando un piccolo solco che mi tiene legata alla relazione con Dio. Uno dice “e che ci fai con Dio in questa situazione?”. Non so bene, ho giocato la carta di dire a mia mamma “Cos’hai da perdere? Perché non andiamo a Medjugorie?” ma lei mi ha risposto che la vede come una modalità opportunistica e nessuna delle due è sufficientemente motivata da trascinare l’altra.

L’unica cosa certa che so è che, nella fede, credo nello Spirito Santo. E allora, chiedo che invece di venire da me (che prego, vado a messa, etc.), se ne vada da lei per infonderle un po’ di pace e tanta di quella tenacia invisibile che ti rende forte e flessibile come un cavo d’acciaio, di quelli fatti con mille fili sottili che ingombrano poco ma possono sostenere pesi incredibili.

Quindi, abbiamo detto:
razionalità ✓
fede ✓
cosa resta?

Resta che vorrei trovare la formula magica per identificare l’essenza di vita per questo periodo e mi chiedevo: cosa potrei fare per essere più vicina, non solo fisicamente, ma anche emotivamente a mia mamma? Non solo rassicurandola razionalmente e vegliando su di lei spiritualmente, ma proprio, concretamente, per raggiungere quell’intimità che forse non abbiamo nemmeno mai avuto. Perché mi auguro che lei guarisca pienamente e allora avremo imparato finalmente a vivere in modo intensamente autentico il rapporto madre-figlia. E perché, se si posizionasse nelle fetta della torta statistica di quelli che non ce la fanno, io non abbia rimpianti e possa andare a ritroso nella storia degli ultimi mesi e leggere e rileggere che più di così non potevo fare, che il resto era fuori dalla mia portata e dal mio controllo.

Ho pensato che potrei raccogliere le sue memorie, lei mi racconta e io intanto scrivo. Ma non sarebbe freddo e meccanico? Potrei semplicemente chiederle delle storie e ascoltarla. Il problema è che non siamo abituate a questo tipo di conversazioni, servirebbe uno spunto che ci motivi a farlo in modo costante e metodico. Mi piacerebbe farlo, anche per lei, perché riveda la sua vita e faccia pace con il suo passato. Qualunque cosa succeda, sarebbe positivo.

Il decluttering applicato ai ricordi di una vita, invece che al guardaroba. O forse potremmo partire proprio da lì, dagli oggetti, e legarci le storie di conseguenza. Vediamo.

Che ci faccio a Parigi nel weekend dal 15 al 17 maggio?

Quant’è bella giovinezza,
Che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza!

Non so bene perché mi sia venuto in mente questo incipit. Forse perché ho tantissima voglia di partire per un viaggetto e finalmente potrò farne uno, senza attendere oltre!

Il prossimo fine settimana sarò a Parigi: parto presto presto venerdì mattina e torno tardi tardi domenica sera. Tre giorni belli pieni, insomma.

Parigi mi conobbe già in un viaggio in solitaria, nel dicembre di qualche anno fa. Ci torno in coppia e nella stagione più bella, spero tanto che il meteo mi consenta di godere del clima primaverile.

Ciance a parte, questo post ha un obiettivo: fissare la mia to-do list per Parigi. Ho alcune idee da tempo, ne sto raccogliendo altre, e poi ci saranno quelle cose che non avevi assolutamente pianificato e che ti appagano forse anche di più.

Procedo per ordine casuale, in base a ciò che per primo mi balza in mente. 

Le cimetière du Père-Lachaise: allegria, qual è la prima meta che mi passa per la testa? Pensa un po’: muschio e gente morta!

Un bel giro sulla Senna a bordo di uno dei Bateaux Mouches, preferibilmente all’ora del tramonto, ma anche no, l’importante è che ci sia bel tempo!

A proposito della Senna: un bel picnic! Baguette, fromage spussolon e via…

Sempre della serie “allegria portami via”: le catacombe di Parigi.

Sicuramente un Marché aux puces, cioè un mercatino delle pulci. Non ho ancora deciso se St. Ouen oppure Clignancourt (che, non so perché, m’ispira un po’ di più).

Pazza idea è quella di andare a vedere David Bowie is, che casca proprio in questo momento a Parigi. Mmmm… vediamo!

Queste sono alcune idee… intanto pubblico il post e aspetto le vostre, dai dai che ne avete a bizzeffe, lo so! 🙂

Così le aggiungo a quelle dei miei amici su Facebook e poi lo aggiorno, mano a mano che mi vengono in mente dettagli o riesco a dedicare del tempo alla definizione anche delle mete più “blasonate”. Vorrei informarmi anche sulle tariffe agevolate per musei, i trasporti, insomma i dettagli noiosi ma utili.

Bisou bisou!

La leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto.

Mi lascio ispirare da una di quelle citazioni attribuite a un autore famoso, però non ho mica tutta questa certezza che sia davvero sua, eh.

La frase è questa:

Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.

Da qualche settimana la sto lasciando sobbollire dentro di me, gorgoglia con discrezione in ogni occasione della quotidianità, ricordandomi di provare a utilizzarla come prospettiva per osservare le situazioni che si presentano.

Che sia di Calvino oppure no, ha qualcosa da insegnarmi, e io non sono schizzinosa quando si tratta di imparare qualcosa.

Una delle cose che amo di più in questo periodo è viaggiare in automobile con il finestrino abbassato e la mano fuori, che scivola e si fa cullare dall’aria oppure oppone attrito e ne sente tutto il peso, come se stesse “surfando sull’invisibile“: mi dà un grandissimo senso di libertà.

E me lo immagino un po’ così, quel “planare sulle cose dall’alto”: niente di astruso, complicato, per pochi. La libertà a portata di tutti, qui e ora.

Mi piace camminare su questo sentiero mentale e penso che proseguirò. Poco più avanti scorgo già l’ombra di un macigno piuttosto ingombrante, ma non importa per ora, io mi sento una che surfa sull’invisibile, male che vada mi metterò a fare trekking sui macigni sul cuore.